Innovare e sperimentare: sono le molle che spingono la distribuzione alberghiera sempre più avanti, verso la continua ricerca della soddisfazione dell’ospite e del profitto. Abbiamo parlato con un imprenditore del travel tech di lungo corso, innovatore per vocazione, per capire che direzione stia prendendo il mercato e cosa serva, oggi, a un albergatore che vuole disintermediare.
Osvaldo Mauro, dopo le esperienze in Lastminute.com, Travel Price e TUI, ha fondato diverse startup nel mercato alberghiero. Oggi, è socio di Ads Hotel, software che promette di ottimizzare i rendimenti delle campagne nei metamotori con la spinta decisiva dell’intelligenza artificiale.
Cosa vuol dire, per te, disintermediare? Puoi darci una definizione chiara per tutti?
Avere il controllo diretto delle proprie vendite ed essere in grado di massimizzarle. Pensa a quando compri un iPhone: lo trovi in tanti negozi diversi, ma l’esperienza di acquisto è la stessa, il prezzo è coerente e alle condizioni di garanzia nemmeno ci pensi, tanta è la fiducia che questo marchio si è conquistata nel tempo, con coerenza.
Disintermediare non vuol dire solo vendere in modo diretto. Significa controllare la propria distribuzione, al pari di come si controlla il proprio prezzo o cosa si offre per la colazione.
Non è scienza per astronauti: è la capacità di saper fare i propri conti e di tenere le redini delle proprie vendite.
Quali sono gli strumenti per disintermediare con successo?
Purtroppo, sono molti. Somigliano un po’ a quando l’elettricista apre il suo furgone pieno di attrezzi per sistemare l’antifurto.
L’attrezzo principale è la propria conoscenza. La distribuzione è un aspetto troppo importante del business per demandarlo a terzi senza sapere cosa succede e quanto rende.
Dalla conoscenza è poi facile ricavare una propria strategia e trovare gli strumenti giusti per metterla in pratica. Come io sarei in difficoltà nel gestire una buona colazione per dei tedeschi super affamati, senza sforare il budget né mettere a soqquadro il magazzino, qualche albergatore trova difficoltà di fronte alle dinamiche della vendita online.
Per questo motivo, le formazioni disponibili, spesso gratuite, sono tante e i consulenti seri altrettanto, soprattutto nel nostro Paese.
Un albergatore proprietario di un hotel con 30 camere ha dubbi sulle possibilità di poter disintermediare senza rimetterci. Come lo convinci a cambiare idea?
Prima di tutto, non si tratta di premere un interruttore ON-OFF. Piuttosto, s’inizia a disintermediare per gradi, dotandosi di un processo d’acquisto ottimale, dei contenuti “wow” (fotografie, testi, design). Fatto questo, si porta in questo “imbuto” – gli inglesi dicono funnel – i visitatori giusti, quelli in target.
Per esempio, si parte con l’investire una cifra per pubblicizzare, e proteggere, il nome del proprio hotel su Google e si misura la resa, in soldi sonanti, di questa campagna.
Dopo un certo periodo, si capisce il rendimento di questo tipo di pubblicità: se tutto è stato fatto bene, questa iniziativa genera un flusso costante di prenotazioni. A tutti gli effetti, diventa un canale di vendita in più.
La disintermediazione è un’attività per tutte o solo per poche strutture ricettive?
Il presupposto è voler disintermediare. Capisco che un gestore che prende in carico una struttura per due anni, per poterci guadagnare al massimo, inizi dai portali di prenotazione. Con ogni probabilità, non avrà voglia di lavorare sul brand di quella struttura, non sua, né di investire per costruire una strategia di lungo termine.
D’altro lato, chi investe sul proprio sito e sul processo di acquisizione diretto crea un altro asset.
A questo proposito, di recente, mi è successo di vedere una transazione di vendita di un hotel: la cifra ammontava a 5 milioni di euro per la struttura, ma se volevi anche il sito e tutto il flusso di distribuzione digitale, occorreva aggiungere un milione. Alla fine, l’affare si è concluso a 6 milioni, proprio perché i numeri del bilancio parlavano chiaro: l’asset costruito per vendere direttamente funzionava e aveva, quindi, un suo valore.
Parliamo sempre di prenotazioni dirette. Secondo la tua esperienza, esistono dei canali di acquisizione clienti più profittevoli di altri?
Certo. Il cliente su Internet è transizionale: tradotto, va dove gli pare e dove gli conviene.
Senza dubbio, il calcolo del costo di acquisizione delle prenotazioni dirette o intermediate – la commissione riconosciuta alle OTA, quindi – dovrebbe essere un valore ben chiaro per l’albergatore, espresso accanto alla cifra lorda della prenotazione.
Si tratta di un controllo serrato, da condurre secondo i cambiamenti del mercato, della stagionalità e delle condizioni imposte dai vari intermediari.
I canali migliori variano spesso. Per gli intermediati, ora è il momento di Airbnb e dell’uso mirato e coadiuvante dei canali secret sales.
Per le prenotazioni disintermediate, la pubblicità diretta del proprio sito nei metamotori, la newsletter, la protezione del marchio su AdWords e, per i più avanzati, le campagne di retargeting.
TripAdvisor, trivago, Google Hotel Ads. Quali sono le differenze salienti fra questi tre metamotori? A un hotel con poco budget da investire, ti senti di consigliarne uno in particolare?
Google è il metamotore più avanzato e sta crescendo forte: porta volumi importanti e può essere approcciato in modo più o meno avanzato. TripAdvisor e trivago fanno del loro meglio per star dietro a questo gigante.
I metamotori “cooperano” gli uni con gli altri. Se gestiti tutti assieme, con un controllo dei costi, portano sia i volumi che le condizioni di vendita ottimali per la distribuzione diretta di una struttura.
Infatti, gli hotel possono vendere direttamente nei metamotori, esponendo il prezzo del sito ufficiale e controllando tutto con un sistema di meta search management.
Come si calcolano i costi di acquisizione delle prenotazioni online e perché è importante che un hotel conosca questi numeri?
Il CPS (Cost per Sale) è l’indicatore da tenere d’occhio in caso di vendite online dirette.
Per calcolare i costi della vendita diretta, suggerisco di separare i costi di investimento da quelli di gestione.
Negli investimenti, si può mettere tutto quello che rappresenta un asset per la struttura nel tempo: il dominio, il sito Web, il servizio fotografico, le pagine social, la formazione del personale.
Nell’altra voce, ricadrà tutto quel che ha a che fare con la gestione quotidiana di questi strumenti: le campagne pubblicitarie, le offerte speciali, gli aggiornamenti del sito e simili.
Fatta questa separazione, si possono calcolare i costi di gestione e l’ammortamento per gli asset – per esempio, per scoprire dopo quanti anni mi potrò permettere di rifare il sito del mio hotel.
È ovvio che più questo controllo è granulare e più si riesce a misurare la resa di ogni singola iniziativa di marketing.
Un altro aspetto importante è la scelta del giusto modello di acquisizione del cliente. Non sempre una campagna pubblicitaria porta subito una vendita; non a caso, la “coda lunga” di prenotazioni che arrivano dall’insieme delle azioni di marketing è sempre più frequente.
Gli strumenti di reportistica mettono a disposizione più modelli di attribuzione. È bene controllare la resa di ogni campagna. Ma pure alzare la testa, per verificare l’andamento generale dei propri investimenti in acquisizione, è una buona abitudine.
A tuo avviso, da qui a dieci anni, come sarà cambiato il panorama della distribuzione online? Le OTA saranno ancora importanti? In questo scenario, che ruolo avrà Google?
Già oggi, per una persona, tener traccia di tutti gli aspetti, degli indicatori fondamentali e delle ottimizzazioni necessarie per il marketing digitale è molto difficile. Bisogna avere uno strumento professionale per ogni attività e occorre prendere delle decisioni oggettive, basate sui dati.
Per un essere umano, o per un gruppo di lavoro, è sempre più difficile gestire questa mole di numeri. Quindi, la partita si gioca sulla tecnologia e sulla capacità di gestire i rischi – per esempio delle campagne di marketing – in modo completo, istantaneo o, addirittura, predittivo.
In questo senso, le OTA si sono organizzate e sono diventate anche delle media agency: hanno schiere di persone che gestiscono il marketing online e hanno budget importanti. A mio avviso, però, questo non è un modello scalabile. Primo, perché i dati aumentano sempre di più. Secondo, perché i lavoratori non possono crescere di numero per sostenere un modello di business come quello delle OTA.
La soluzione? Far gestire questo scenario all’informatica stessa, grazie ai processi di marketing automation resi possibili dall’Intelligenza Artificiale.
Per mio conto, reputo l’analitica predittiva, intesa come applicazione del machine learning, la chiave di volta di questo scenario.
Sia le OTA che Google si stanno organizzando per colmare questo gap di scalabilità.
Google Hotels è il primo canale di acquisizione negli Stati Uniti per le OTA ed è quello con più potenzialità, sia tecnica che di pubblico. Per questo motivo, va gestito con strumenti appositi o da consulenti dedicati.
Qual è il consiglio più importante che ti senti di dare agli albergatori per affrontare le prossime sfide del mercato?
Sono stato anch’io albergatore, ho lavorato in un’OTA e come consulente. Ora, sono socio in una startup innovativa che automatizza il marketing per gli hotel. Quindi, ho affrontato il mercato da più punti di vista. A mio parere, i capisaldi restano questi:
- avere fondamentali economici chiari e semplici;
- tenere sotto controllo degli indicatori-chiave, anche quando non si conosce a fondo tutto lo scenario in cui gli stessi si muovono;
- unire il reparto revenue con quello marketing. Per le strutture ricettive piccole, meglio gestire questi due aspetti con una sola persona o con un unico consulente;
- prendere delle decisioni imprenditoriali che uniscano l’esperienza dell’albergatore con l’oggettività dei dati.
Tenere a mente questi punti è già un buon passo verso il successo della propria struttura ricettiva.