Il “commercio conversazionale” sembra possa essere il prossimo passo nella relazione fra hotel e viaggiatori. Di cosa si tratta? Usare l’elaborazione del linguaggio naturale, in inglese Natural Language Processing (NLP), e l’intelligenza artificiale per consentire ai computer di pensare “come un essere umano”.
I grandi nomi del mercato alberghiero si sono mossi già da tempo in questa direzione. A maggio di quest’anno avevamo parlato del chatbot di Booking.com, per esempio.
È notizia recente, poi, che i bot di Expedia saranno disponibili presto su Skype per cercare, e prenotare, soggiorni con il solo aiuto del software che riproduce la conversazione umana.
“Abbiamo voluto verificare se un’esperienza di ricerca conversazionale possa rappresentare, per i nostri clienti, un modo nuovo, divertente e facile per trovare la loro vacanza ideale”, ha fatto sapere Jeremy Osborne, direttore dell’innovazione strategia per TUI UK & Ireland. La risposta dei clienti di TUI pare sia stata molto positiva: il 77% dei partecipanti a questo esperimento ha trovato utile l’assistente virtuale.
Costruire relazioni, non solo vendite
Insomma, la battaglia fra i giganti del mercato turistico è già iniziata. In linea di massima, si tratta di una corsa verso il “commercio conversazionale”, termine coniato da Chris Messina, capo della Developer Experience di Uber, per definire l’uso di chat, programmi di messaggistica istantanea o altre interfacce per linguaggi naturali – la voce, per esempio – per interagire con le persone, con le aziende e con i loro servizi.
Per farla ancora più semplice, si tratta di una sfida, con l’obiettivo di usare questi canali di conversazione per costruire una relazione più solida fra chi vende e chi acquista merci e servizi nel mercato alberghiero. A questa idea, si è arrivati grazie all’aumento esponenziale del tempo speso dalle persone su app di messaggistica istantanea su smartphone – Messenger di Facebook, WhatsApp, Telegram, Snapchat, Slack e compagnia bella.
Fra tutti, Facebook sembra sia l’azienda più attiva in questa direzione. Per esempio, nel dicembre 2015, Uber ha annunciato il suo sbarco su Messenger. In pratica, con Facebook Messenger puoi registrarti su Uber e chiedere una corsa, senza mai uscire dall’app di messaggistica né scaricare l’applicazione di Uber.
Non solo passaggi in macchina. Anche le compagnie aeree hanno iniziato a studiare il fenomeno dei chatbot e dell’elaborazione del linguaggio naturale. Una di queste è l’olandese KLM, la prima nel suo mercato a offrire ai suoi clienti l’opportunità di prenotare, confermare il check-in e aggiornare il proprio profilo di volo con Facebook Messenger. Non è tutto. Chi vola con KLM può ricevere la ricevuta, l’itinerario e la carta d’imbarco su Messenger. Immagina quando sarà possibile fare tutto questo con gli hotel. Sarebbe comodo per tutti, vero?
Conta il servizio al cliente
Mentre i grandi nomi del mercato turistico sembrano voler puntare forte su Facebook Messenger, Transavia, compagnia olandese low cost, marchio del gruppo Air France-KLM, usa WhatsApp per erogare il suo servizio clienti. Attenzione, però. Fra il “commercio conversazionale” di cui sopra e il servizio clienti corre una bella differenza: il primo è rivolto alla vendita di prodotti o servizi; il secondo coinvolge tutte le fasi del processo di acquisto, inclusi la pre e il post-vendita. Sempre più persone usano la messaggistica istantanea per risolvere un dubbio o un problema, soprattutto laddove abbia fallito, in precedenza, l’assistenza clienti erogata tramite canali più “tradizionali”.
Expedia ha subito colto questa possibilità. Secondo Scott Crawford, vice-presidente dell’area Product Management del marchio americano, visto l’alto numero di utenti di Facebook Messenger, ci si aspetterebbe più attività in questo campo. Tuttavia, Crafword si è affrettato ad aggiungere che l’elaborazione del linguaggio naturale si presta bene a risolvere le richieste in arrivo al servizio clienti e le domande a risposta aperta.
Semplificare la complessità
Il “commercio conversazionale” ha bisogno di una tecnologia complessa, a tre strati, per così dire: in alto, l’interfaccia per l’utente; un motore in mezzo; e un’API (Application Programming Interface) per connettere più software fra loro.
Le grandi aziende dovrebbero capire che la battaglia non è limitata al solo mercato dei bot. Quel che conta sarà sempre più l’intelligenza artificiale di questi software, indispensabile per offrire al consumatore dei bot “intelligenti” e, quindi, utili.
In particolare, conterà la capacità di questi programmi di comprendere le intenzioni degli utenti e il contesto delle loro richieste; senza questa abilità, il “commercio conversazionale” non decollerà. Prova a immaginare cosa succederebbe se un cliente interagisse con il bot di un portale di viaggi per risolvere un problema con la sua prenotazione e il bot, anziché aiutarlo, gli proponesse l’acquisto di qualche prodotto o servizio per nulla interessante – perlomeno, non interessante per quella persona in quel momento. Forse, il cliente potrebbe spazientirsi, al punto da decidere di scegliere un altro portale per pianificare il suo viaggio.
All’alba, ormai, del 2017, è chiaro che nessuno può ignorare le opportunità di crescita offerte dal “commercio conversazionale”. I grandi nomi del mercato turistico e alberghiero hanno l’occasione di ripensare, e migliorare, il modo di interagire con i loro clienti. A queste aziende spetta il compito di rendere tutto più utile ed efficace per il consumatore – e, magari, meno confuso di quanto sia stato finora.
Liberamente tratto da Conversational commerce: killer direct channel or just plain confusing?.