Se gestisci un hotel e hai avuto a che fare almeno una volta con le OTA, saprai senza dubbio cos’è la Parità Tariffaria. Si tratta di una clausola imposta dalle OTA agli hotel: ogni hotel deve fornire al portale le stesse tariffe presenti sugli altri canali di distribuzione. L’hotel ha una sola libertà: formulare la tariffa. Una volta comunicata a una OTA, la tariffa deve essere quella, anche per gli altri portali.
Ma a qualcuno la Parity Rate sembra proprio non piacere…
L’accordo fra hotel e OTA sulla Parità Tariffaria è sotto la lente delle autorità per la libera concorrenza. La prima a muoversi, a fine luglio, è stata l’Antitrust inglese. L’accusa? “Price fixing”, vale a dire imposizione illegale delle tariffe. L’Office of Fair Trading britannico ha accusato Expedia, Booking.com e IHG di aver fatto “cartello”. La notizia ha fatto subito il giro del mondo. Il 20 agosto un’altra novità è piovuta dagli Stati Uniti: lo studio legale Hagens Berman ha patrocinato una class-action di consumatori contro le “solite” OTA – Expedia, Booking.com, Priceline e Travelocity – e alcune catene di hotel – Hilton, Marriott, Sheraton, Starwood. Il motivo? Sempre lo stesso, la Parità Tariffaria.
Si tratta di una pratica che potrebbe danneggiare i consumatori? Per niente, sostengono i direttori commerciali delle OTA. Sta di fatto che rispettando la Parity Rate si vanno ad appiattire le possibili differenze fra le tariffe pubblicate nei diversi canali di distribuzione. Prenotare la stessa camera, nello stesso hotel, nello stesso momento, costa tanto farlo su Booking che su Expedia o con qualunque altra OTA.
Questa politica tariffaria “appiattita” ha generato parecchia confusione nei consumatori: molte persone credono che prenotare un soggiorno tramite il booking online dell’hotel possa essere meno conveniente che farlo tramite una delle tante OTA. Lo sostiene proprio lo studio legale Hagens Berman, co-protagonista della class-action americana:
I siti di distribuzione online, in collaborazione con le catene alberghiere, hanno creato l’illusione che i consumatori più scaltri possano trovare delle offerte convenienti spendendo del tempo online per sfogliare tutte le tariffe, scrive in una nota Steve Berman, co-fondatore dello studio legale.
La realtà è che questi accordi legali per la Parity Rate mostrano al consumatore soltanto differenze apparenti e le stesse tariffe su tutti i siti.
L’idea è passata e fatica a morire: con le OTA si risparmia, punto e basta, perché vige sempre “il miglior prezzo garantito”, claim accattivante ma anche subdolo. Se si parla di “miglior prezzo”, ci aspetteremmo un mercato aperto, competitivo, cosa che sembra non esserci per le OTA.
Sempre l’agenzia Hagens Berman scrive nel suo sito di essere a conoscenza dell’esistenza di accordi stretti fra le grandi OTA e le maggiori catene alberghiere per calmierare i prezzi delle camere d’albergo. Sono i cosiddetti Resale Price Maintenance (RPM). Questi accordi, sottoscritti più o meno sottobanco, sono nati per contrastare il modello Wholesale: società indipendenti acquistano blocchi invenduti di camere all’ultimo minuto e li rivendono a piccole società specializzate nell’offerta di soggiorni online a prezzi ribassati. Va da sé che questa pratica riduce i profitti delle OTA. L’esistenza di questi accordi è confermata e sostenuta da una portavoce di Sabre Holdings, società proprietaria del marchio Travelocity, “così il consumatore potrà essere sicuro di avere sempre la tariffa migliore, senza essere costretto a cercarla fra 18 siti diversi” – la dichiarazione è riportata nel documento dello studio Hagens Berman.
Tra i consumatori però il dubbio ha fatto capolino: non sarà che la Parity Rate danneggia la libertà dei prezzi? In sostanza, i consumatori chiedono che le OTA scendano sul terreno del mercato per competere fra loro, cosa che ad oggi sembra proprio non accadere. In sostanza, si vorrebbe un mercato un po’ più deregolamentato anche per le grandi agenzie di viaggio online. Senza però considerare il possibile rovescio della medaglia. Se veramente si scatenasse la guerra sulla miglior tariffa possibile, chi resterebbe in piedi? Certo non l’hotel indipendente, che finora ha scelto coraggiosamente di far a meno delle OTA, sempre più strozzato dalle tariffe competitive proposte nel nuovo scenario da far west.
Ci guadagnerebbero le OTA, con tutta probabilità, ma non tutte, perlomeno nel lungo periodo: alla fine ne resterebbero poche, le più grandi, quelle con più possibilità di applicare sconti sulle tariffe, con buona pace per le nuove realtà pronte ad affacciarsi sul mercato. Detta in altri termini: siamo proprio sicuri che l’eventuale estinzione della Parity Rate porterebbe migliori condizioni di mercato?